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LA NUOVA DISCIPLINA DEI CONTRATTI A TERMINE

1. Cos’è il contratto a termine e dov’è disciplinato?
Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato, nel quale è prevista una durata predeterminata, attraverso l’indicazione di un termine.
La sua disciplina è contenuta nel Decreto legislativo n. 81/2015, modificato recentemente dal Decreto legge n. 87/2018, convertito dalla Legge n. 96/2018. Come chiarito dalla Circolare ministeriale n. 17 del 31 ottobre 2018, le novità introdotte dal Decreto legge n. 87 trovano applicazione per i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente al 14 luglio 2018, nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti successivi al 31 ottobre 2018.
Sebbene il rapporto di lavoro subordinato trovi la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato – dove non c’è l’indicazione di una data di conclusione – i contratti a termine possono essere uno strumento più flessibile che viene incontro alle esigenze del datore di lavoro e del lavoratore, in determinate circostanze. Per questo l’utilizzo del contratto a tempo determinato prevede dei limiti ben precisi.

2. Apposizione del termine e l’inserimento della causale
L’apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall’atto scritto, fatta eccezione per i rapporti di lavoro di durata non superiore a dodici giorni.
Con il Decreto legge n. 87/2018 convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 96/2018, la durata massima è fissata in dodici mesi e può essere elevata a ventiquattro mesi solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
• esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
• esigenze sostitutive di altri lavoratori;
• esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

3. Durata del contratto a tempo determinato
Il contratto a termine non può quindi avere una durata superiore a ventiquattro mesi, comprensiva di proroghe e/o per effetto di più contratti, fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Per il raggiungimento dei ventiquattro mesi sono considerati anche i periodi relativi a missioni in somministrazione effettuate dal lavoratore presso lo stesso datore di lavoro/utilizzatore, aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale.
La proroga è possibile – entro questo limite e con il consenso del lavoratore – fino a un massimo di quattro volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.
La proroga deve riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a tempo determinato è stato stipulato e l’indicazione della causale è necessaria solo quando il termine complessivo superi i dodici mesi.

4. Rinnovo del contratto a termine
Nelle ipotesi di rinnovo, è necessario che trascorra un lasso di tempo tra i due contratti a termine, stipulato tra le stesse parti contrattuali:
• intervallo di 10 giorni se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi;
• intervallo di 20 giorni se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.
Il mancato rispetto di queste interruzioni temporali determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
L‘atto scritto deve contenere, in caso di rinnovo, la specificazione delle esigenze in base alle quali è stipulato.
I contratti per attività stagionali possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle causali necessarie, invece, per la generalità delle attività. Anche le pubbliche amministrazioni sono soggette a una disciplina particolare che prevede l’applicazione della normativa previgente al Decreto legge n. 87/2018 (art. 36 del D.lgs. n. 165/2001).
Se dopo la scadenza del termine, il lavoro prosegue di fatto:
• per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi);
• per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi).
Il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Cosa succede se, invece, il rapporto di lavoro oltrepassa questo periodo “cuscinetto” di 30 o 50 giorni? Il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato a far data da tale sconfinamento.
Raggiunti i 24 mesi consentiti, il datore di lavoro e il lavoratore possono decidere di stipulare un ulteriore rapporto di lavoro a termine della durata massima di 12 mesi.
Tale nuovo contratto di lavoro dovrà però essere sottoscritto in regime di “deroga assistita” presso la sede territorialmente competente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

5. Massimo consentito di rapporti di lavoro a tempo determinato
A ciascun datore di lavoro è consentito stipulare un numero complessivo di contratti a tempo determinato non superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, con un arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi, anche territoriali e aziendali, hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato.
In caso di assunzione sia con contratto a tempo determinato che con contratto di somministrazione a termine il numero dei lavoratori assunti con tali tipologie non può eccedere complessivamente il 30% dei lavoratori a tempo indeterminato.
Per le ipotesi di violazione del limite percentuale, si stabilisce soltanto una sanzione amministrativa – e non la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato a carico del datore di lavoro pari:
• al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore assunto in eccedenza al predetto limite;
• al 50% della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza.
In ogni caso, non sono soggetti a limitazioni quantitative i contratti a termine conclusi nella fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva, per le startup innovative, per sostituzione di personale assente, per attività stagionali, per spettacoli, programmi radiofonici o televisivi o per la produzione di specifiche opere audiovisive, nonché quelli conclusi con lavoratori di età superiore a 50 anni.
Tali limitazioni non si applicano nemmeno ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra enti di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione della stessa.
Il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato per almeno 6 mesi, potrà far valere il diritto di precedenza sui nuovi contratti stipulati dall’azienda per le stesse mansioni, nei 12 mesi successivi al termine del suo contratto. I periodi di astensione obbligatoria per le lavoratrici in congedo di maternità devono computarsi per la maturazione del diritto di precedenza. Le medesime lavoratrici avranno diritto di precedenza anche nelle assunzioni a termine per le stesse mansioni che avvengano nei 12 mesi successivi alla conclusione del loro contratto. Il diritto di precedenza vale anche per le successive assunzioni a termine stagionali.

6. Contributo indennità Naspi
Per finanziare la Nuova Assicurazione sociale per l’impiego (NASpI) è prevista un’aliquota contributiva aggiuntiva pari all’1,4% che verrà restituita al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato. La misura di tale contributo è incrementata dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo (art. 3, comma 2 del Decreto legge n. 87/2018).
L’impugnazione con la quale si intenda far valere la nullità del termine va presentata entro 180 giorni dalla cessazione del contratto.
In caso di illegittimità del contratto a termine, l’indennità risarcitoria e la conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato, è da considerarsi onnicomprensiva di tutti i danni e pregiudizi retributivi e contributivi subiti dal lavoratore. L’indennità è pari a un importo che va dalle 2,5 alle 12 mensilità.

 

7. Diritti di precedenza 
Il lavoratore che abbia prestato attività lavorativa a termine presso la stessa azienda per un periodo superiore ai 6 mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato per mansioni equivalenti, effettuate dal datore di lavoro entro i 12 mesi successivi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.
Il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza fatte salve diverse disposizioni dei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale, nelle assunzioni a termine per le medesime attività stagionali.
In entrambi i casi, il diritto di precedenza può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti la propria volontà al datore di lavoro rispettivamente entro 6 mesi o 3 mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il diritto di precedenza si estingue trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

8. Licenziamento
Il lavoratore assunto a tempo determinato non può essere licenziato prima della scadenza del termine se non per giusta causa, cioè per un fatto talmente grave da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro. Non è possibile, in altre parole, il licenziamento per giustificato motivo, sia soggettivo che oggettivo (ad esempio per riduzione dell’attività dell’impresa).
Il licenziamento intimato senza giusta causa prima della scadenza del termine comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, pari a tutte le retribuzioni che sarebbero spettate al lavoratore fino alla scadenza inizialmente prevista, dedotto quanto eventualmente percepito dal lavoratore lavorando presso un altro datore di lavoro nel periodo considerato.

 

Elisa Turini
Consulente del Lavoro

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